giovedì 29 novembre 2012

L'alta Valcamonica, sono i vini di Enrico Togni - Poi, c'è L'alt(r)a Lombardia!!

Il vino, non si ferma alla sola bottiglia, alla tavola, al bicchiere ed al suo contenuto, per quanto eccezionale. Quello che in questi anni mi stimola maggiormente ed arricchisce, è conoscere il territorio di produzione. Per comprenderlo fino in fondo sento il bisogno di scoprire il luogo dove nasce e parlare con chi lo produce. Solo in questo modo riesco ad recepire con maggiore chiarezza quello che mi ritrovo nel calice.

Ho quindi colto volentieri l'invito di Enrico Togni di Togni Rebaioli per la presentazione del S. Valentino 2010 - Erbanno in purezza.

Per conoscere Enrico, la sua passione, il vitigno Erbanno e la viticoltura della Valle, vi rimando all'intervista che gli ho fatto tempo addietro su queste pagine.

La Valcamonica è circondata dalla Valtellina a nord, dal Trentino-Alto Adige ad est e dalla provincia di Bergamo a sud-ovest, dalle quali, probabilmente, viene influenzata sulla coltivazione dei vitigni. I più comuni sono: Riesling, Müller Turghau ed Incrocio Manzoni, per i bianchi. Merlot, Marzemino e Barbera, per i rossi. Ed altri ancora, proprio come quelli di Enrico.

Come la Schiava in rosa "Martina" 2011, dove il varietale e la freschezza la fanno da padrone. Da averne sempre una bottiglia al fresco d'estate! Il "Lambrù" 2009, ottenuto da Marzemino, Merlot e Barbera, dall'ottimo ventaglio olfattivo, tra fiori, frutta e spezie dolci. Ha sorso pieno, succoso e scattante. Interessante notare come ogni vitigno contribuisca con le sue caratteristiche a donare equilibrio al sorso. Il "Millesettecentotre" 2009, Nebbiolo in purezza, giocato sulle finezze e sottili note del vitigno. Un perfetto cugino della vicina Valtellina. Il "San Valentino" 2010, l'Erbanno, il giovane principe di questa giornata: piacevole e fresco tra la frutta del rovo e le spezie della credenza. Ha beva, slancio ed avvolgenza, conferita dalla polposità. Insomma, un vitigno ed un vino tutto da scoprire che solo Enrico può vantare. Si prosegue con due grandi bottiglie: il Merlot "Rebaioli Cav. Enrico" 2009, nel quale il territorio anticipa il vitigno, donando un naso profondo e intenso di frutta rossa macerata, spezie antiche, corteccia e pellame. Ha sorso morbido, pieno, penetrante ma scattante e fresco. Un Merlot da segnare, perché si distacca da banalità ed omologazioni. Per finire, il "Vidur" 2009, Barbera in purezza - il mio preferito - nel quale profumi intensi e tipici del vitigno, tra fiori, frutti maturi, ricordi di bosco umido e di roccia, ne definiscono le note olfattive, spinte al naso da una ventata di fresca intensità. Il sorso è rotondo e scattante, ricco e fresco, gli conferisce una struttura agile e di grande beva, di grande evoluzione. L'assaggio del 2007 ne è stata solo la conferma.




Vini, quelli di Togni Rebaioli, fratelli. Caratterizzati da un intrinseco fil rouge, dal quale si riconosce lo spirito produttivo e la provenienza. Hanno carattere, personalità, ma soprattutto, mi hanno permesso di decifrare un territorio. Questi per me sono i vini che rappresentano la Valle Camonica.

Sarebbe stato impossibile - mi riallaccio a quanto scritto in apertura - esprimere queste considerazioni senza aver conosciuto Enrico ed aver vissuto di persona, anche se per poco, un angolo della valle. Non c'è da stupirsi quindi, se per tre anni consecutivi, sulla guida Slow Wine abbia preso la Chiocciola. Se andate al Mercato dei vini dei Vignaioli, a Piacenza questo week end, passatelo a trovare, ne avrete la conferma. 

Poi, c'è stata la degustazione dei produttori associati al Consorzio di Tutela IGT Valcamonica, in occasione della quale, tra le altre cose, ho riassaggiato i vini di Enrico. Tra le aziende presenti invece ho trovato interessanti solo alcune bottiglie, per pulizia e precisione stilistica. Partendo dai vini bianchi, in alcuni casi ho notato un eccessivo uso della tecnica che, a mio parere, andrebbe ridotta per salvaguardare l'integrità e l'espressione del vitigno. In altri casi ho notato come una corsa all'internazionale, nella quale personalmente non credo. Altri, infine, mi sono sembrati ancora piuttosto anonimiAnche per i rossi il discorso è più o meno lo stesso: ho sentito prodotti discreti, con caratteristiche definite, in altri invece troppa concentrazione, troppa tecnica, o con richiami ancora troppo internazionali. Anche se i riconoscimenti nel breve periodo possono arrivare, a lungo termine stancano. Fondamentalmente è una moda e come tale passerà, anzi sta già passando.

La Valcamonica del vino ha un futuro tutto da scrivere: iniziare a camminare sulla strada giusta (non per forza la più facile) è fondamentale. La mia idea, quello che voglio dir loro, è di creare un territorio riconoscibile e definito da vitigni e vini corretti, in cui il bevitore o appassionato riesca a riconoscerne la provenienza e poter dire: "che buono questo vino Camuno".

lunedì 12 novembre 2012

Chianti Classico 2005 - Vecchie Terre di Montefili

  • Produttore: Vecchie Terre di Montefili
  • Denominazione: Chianti Classico D.O.C.G.
  • Vitigno: Sangiovese 100%
  • Annata: 2005
  • Tit. Alcolemico: 13,5%
  • Prezzo: < 15 € - comprato in enoteca

Avevo già scritto di loro, raccontando dell'Anfiteatro, ed il titolo recitava: "l'eleganza del Sangiovese".  Qui direi: "lo spessore del Chianti".

Perché è granato cupo, la trasparenza del vitigno invece la si ritrova solo in unghia. Perché parte floreale, leggermente ematico e ferroso, allargandosi poi alla frutta, alle spezie, con alcuni richiami dell'affinamento. Perché è rassicurante: un Chianti Classico al cento per cento, non si sbaglia, la tipicità dei profumi sono quelli. Perché nel calice di nuovo evolve: balsamico con sentori della terra ed il verde del campo, del tartufo ed un lineare ricordo di cetriolo. Perché non va per il sottile: ha spessore, appunto.

Il sorso è avvolgente, vivo, il tannino e la freschezza sono ricchi e vibranti. Ha della materia, in bocca è chiantigiano di razza, balsamico che riscalda, lungo e longevo. Con il cibo - arrosto o selvaggina da piuma - è meraviglioso. Solo un avvertimento: ha bisogno di essere aspettato.

Vecchie Terre di Montefili è una realtà della tradizione, che lavora benissimo, che ormai, si è conquistata una parte del mio cuore.

martedì 6 novembre 2012

Gianfranco Manca, la semplicità di PaneVino, la non territorialità e l'Isola dei Nuraghi IGT - Pikadé

Gianfranco Manca  - ne accennai qui - fa vino da più di venticinque anni, molto prima della moda del "naturale", dalla quale cerca di sfuggire. Alla domanda: da quanto tempo lavori seguendo i criteri della biodinamica? "Io non so neanche se ho iniziato e non mi interessa saperlo. Io posso dire cosa faccio e cosa non faccio". "Quando inizia ad essere naturale il vino? Quando smette di esserlo?" mi chiede. Per lui, PaneVino è l'essenziale, la semplicità. La quotidianità è rappresentata dal pane, la festa dal vino. "Fare vino è un percorso intimo fatto di continue scoperte" aggiunge.



Vignaiolo sulla terra: lo si legge chiaro in etichetta - una provocazione - non ama ricordare il suo territorio, è contrario al concetto di terroir. Gianfranco Manca è così, ha le sue convinzioni, non ama le domande da salone del vino, non vede bene quelli che girano col taccuino: quanti giorni di macerazione? Botte grande o barrique? Quanti ceppi per ettaro? Cosa importa? È il vino che deve parlare.


Poi, passi una giornata con lui e la moglie Elena, ti raccontano della loro famiglia - presentandoti i tre figli - e del piccolo agriturismo. Con un piacevole diversivo, quello di andare a controllare i filari, ti portano a vedere le vigne - tutte - rigogliose, vive e selvagge. Quelle che stanno meglio - dice - sembrano salutare. Ed è vero: ci sono tanti rami lussureggianti, ricchi di foglie, dritti ed alti, che con il vento sembrano proprio che salutino.

Oltre trenta varietà di vitigni diversi: da quelli più autoctoni, si passa al Nebbiolo, alla Barbera, al Ciliegiolo, al Montepulciano ed altri ancora. Lascia fare ed ascolta la natura, intervenendo pochissimo - può permetterselo, ha territorio e clima dalla sua: escursioni termiche, ventilazione, luminosità, esposizione e terreni. "Un tempo c'era molta più vigna", racconta, "poi, la pastorizia ha avuto la meglio ed i pascoli hanno sostituito i vigneti." Anche nell'orto non ci mette mano, ed è incredibilmente ricco di prodotti.


Torniamo alla casa-cantina-agriturismo, che è quasi sera. Restiamo per cena e ci accomodiamo nella veranda circondata dagli ulivi e, finalmente, degustiamo. La cucina è quella che non ti aspetti, siamo nel bel mezzo della Sardegna e tutti i piatti sono a base di pasce. Tutto torna, è delicata ma saporita, semplice, ma al contempo ricercata: Elena è una cuoca bravissima, il loro pane ottenuto da lievito madre, oltre ad essere un capolavoro è buonissimo.

Ed è qui, nei momenti di pausa, che ci rendiamo conto di tutto. Il silenzio, l'armonia e la pace ci avvolgono. Questo è il vero mondo della famiglia Manca. Il loro è un "naturale" percorso di vita a trecentosessanta gradi, la vigna ed il vino, ne sono solo una parte. L'educazione, la cultura, l'approccio alla medicina, la calma e la quiete delle loro parole, tutto questo è un cerchio che si chiude. Ora comprendo!

Anche dietro ad ogni etichetta c'è ricerca e ciascuna nasconde un significato. Esse cambiano ad ogni vendemmia e raccontano una piccola storia. Quella del Pikadé, ad esempio, rappresenta un'apertura, uno squarcio, un barlume di luce sul buio degli anni passati.


Produttore: PaneVino
Denominazione: Isola dei Nuraghi IGT
Vino: Pikadé
Vitigno: Monica, Carignano
Annata: 2010
Tit. Alcolemico: 12,5% vol.
In etichetta non viene riportata la scritta: Contiene Solfiti
Prezzo: 18 € - comprato in cantina

Territorialità si diceva: il colore è rubino che guarda il granato, parecchio scarico, vivo e nobile. Rosa, quello che domina il bouquet è un intenso e piacevole ricordo di questo fiore di Afrodite. Ha poi profumi sottili e leggeri di frutta del rovo, spezie, agrumi canditi e qualcosa che ricorda l'acciuga sotto sale (riportandomi ad un altro "amato" vino isolano ed alcune eccellenze toscane). Un naso splendido caratterizzato da finezza ed eleganza con intensità in crescita e non un difetto. (non interviene in nessun modo in vinificazione).

Il sorso è giocato sulla freschezza, con tannino ed acidità fantastiche, sapidità del mare e ritorni balsamici. Dinamico, mai scontato, il gusto è quello della rosa, delicato come accarezzare il velluto. Neanche a dirlo, si beve alla grande, chiude lungo: rosa, ancora rosa, ed ancora rosa, leggermente amaricante.

Degustandolo alla cieca, non avrei mai pensato alla Sardegna, o almeno a larga parte dei vini ai quali siamo abituati. Con questo Pikadé quindi, Gianfranco Manca è uscito dal concetto di "territorio", donando unicità e personalità al vino. Soprattutto, è riuscito a mettere luce ad annate buie.


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